La chiesa della Trinità

Il 16 agosto 1548, memoria di S. Rocco, patrono dei pellegrini, S. Filippo Neri con il suo padre spirituale padre Persiano Rosa, fondò a Roma l’Arciconfraternita SS. Trinità dei pellegrini, per l’accoglienza di coloro che si recavano a Roma. Tali confraternite si diffusero in molte città, tra cui Chieti, crocevia d’Abruzzo, dove esisteva una congrega simile, chiamata “Compagnia di S. Maria della Civitella, con sede nella chiesa omonima, allora monastero benedettino celestiniano.
La Compagnia teatina venne affiliata all’Arciconfraternita Santissima Trinità dei pe

llegrini di Roma, con bolla di papa Gregorio XIII del 3 aprile 1583, aumentando di molto l’attività da rendersi necessaria una struttura più idonea, a valle della Civitella, presso porta S. Andrea o Santacroce.

Chiesa e “Ospedale” (Centro di accoglienza) vennero iniziati nel 1586, su sito offerto dal confratello Francesco Ramignani, dove c’era una cappella del 1141, a ridosso di uno dei due torrioni della porta. Nel 1587 era già ultimata nel suo stato primario. Nel 1602 fu realizzato il portale con l’iscrizione: “Deus verus, Unus in Trinitate, Trinitas in unitate” (Dio vero, uno nella trinità, Trinità nell’unità); la facciata ultimata nel 1609.

La chiesa divenne l’antitesi della cattedrale, baricentrica rispetto alla città, che andava estendendosi verso sud. Nel 1634 il cardinale arcivescovo Antonio Santacroce la elevò a parrocchia, come ricorda la lapide sulla facciata, con le chiese di S. Agata e S. Antonio, riservando il battesimo alla cattedrale. Solo nel 1914 fu concesso loro di battezzare. A metà del 700 l’interno venne ristrutturato nella forma attuale. Nel 1748 realizzato il campanile; l’orologio è del 1902. L’ospedale smise di funzionare a fine 700, venduto, ristrutturato nella forma conosciuta oggi come “Palazzo Lepri”. L’arciconfraternita venne sciolta nel 1935.

All’interno spiccano la pala centrale, del teatino Donato Teodoro (1699-1779), il Crocifisso ligneo dell’altare (XVIII sec.), il pulpito, realizzato nel 1770 da Fabrizio De Fabritiis di Orsogna, la balaustra della cantoria di Giustino Critelli di Chieti, trasferita dal presbiterio. Sulla volta, l’occhio nel triangolo, simbolo dell’onnipresenza, onniscienza e perfezione di Dio. A sinistra, donna con croce e calice, allegoria della fede; a destra quella con bambini, allegoria della carità

 

LA PALA CENTRALE

La pala centrale raffigura la Santissima Trinità nell’incoronazione di Maria, opera del pittore teatino Donato Teodoro (1699-1779), della parrocchia stessa, probabilmente sepolto sotto la chiesa, uno dei più importanti pittori del 1700 abruzzese. L’artista ha “scritto” nell’opera una vera pagina di teologia: il Cristo risorto e giudice finale incorona la Madre, assunta in cielo, con la benedizione del Padre eterno, dal quale ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra (Mt 28,16-20). Porgendole la corona, riconosce in lei la “Nuova Eva”, il modello della fede, la sua prima discepola (Gv 2,5), la Madre della Chiesa (Gv 19,27). Maria splende nell’opera come donna umile, riservata, pura, con il viso dolce e materno, esaltata da Dio, che intercede presso suo Figlio, l’unica via per raggiungere il Padre. Di lei, nella Divina Commedia, Dante Alighieri, nel canto XXXIII del Paradiso, diceva: “Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura”. Da notare la posizione delle sue mani: con la destra sul petto, ricorda che ha custodito nel suo cuore la parola del Figlio, verso il quale è inginocchiata; con la sinistra indica il Padre, come per dire: “Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, grande è il suo nome”. Più in alto di tutte le creature, Maria guarda verso il basso, a ricordare che chi sta in alto, deve servire ed elevare chi si sta in basso. E’ davanti a questa pala che pregavano i nuovi arcivescovi quando entravano in città da Porta S. Andrea per andare verso la cattedrale, per prendere possesso della cattedra episcopale. Contemplando Maria, immagine della Chiesa, il nuovo vescovo accoglieva e si sentiva accolto dalla comunità teatina.

 

 

CAPPELLA MADONNA DEL SUFFRAGIO

La cappella, unica nel suo genere a Chieti, è ricavata da una delle tue torri affiancanti la porta principale della città, detta “di S. Andrea”, dal nome dello scomparso convento ubicato nella villa comunale (Ex ospedale militare), detta anche “Porta Santacroce”, dal cognome dell’arcivescovo che istituì la Parrocchia. La torre venne trasformata in cappella nel 1843, con cupola dipinta nel 1844 dal teatino Raffaele Ferrara, restaurata nel 1934 dal teatino, Francesco De Vincentiis, allievo del Palizzi.

Il ciclo pittorico illustra i Novissimi, le ultime realtà della vita (morte, giudizio, inferno, paradiso) e il tema del suffragio. A coronamento della cupola, la Trinità. Nello spicchio centrale frontale, la Madonna del Suffragio. A destra, la figura allegorica della morte, fine di ogni potere e ricchezza; accanto, i beati che salgono in paradiso. A sinistra, la risurrezione dei morti; di fianco, i dannati precipitati nell’inferno dall’arcangelo Michele. Sopra l’ingresso, l’allegoria del suffragio, con angioletti che offrono fiori (opere di carità) e incenso (preghiere) sulle tombe dei defunti. Sulle pareti, tela Madonna del Suffragio, ex pala dello scomparso altare, del teatino Enrico Marchiani (XIX sec.).

 

LA MADONNA DEL XIV SECOLO

Il gruppo artistico, unico blocco ligneo scolpito e dipinto, alto 134,5, si trovava nella nicchia esterna la facciata della chiesa, rimossa nel 1930 a cura dello storico locale Francesco Verlengia. Nel 1982 fu restaurata da Gianfranco Pizzinelli. Opera di bottega umbro-abruzzese della seconda metà sec. XIV, è attribuita al maestro della S. Caterina Gualino, nome convenzionale dato all’autore di una scultura della santa della Collezione Gualino, indicante un intagliatore e pittore italiano attivo in Umbria e Abruzzo tra XIII e XIV secolo, autore delle Madonne di Teramo, S. Omero e Montorio al Vomano.

Il Bambino, in piedi, stende da Re la destra verso la mano della Madre, tesa ai devoti nell’atto di offrire quanto ottenuto per sua intercessione. Seduta come Regina, ha il capo che si erge con dignità regale, sul quale doveva trovarsi una corona. La parte superiore della sagoma ripropone ancora canoni stilistici del duecento: cintola molto alta e linee del manto semplici ed essenziali; la parte inferiore, invece, ha un panneggio più plastico e curato nei particolari. Lo stile di indubbia qualità fa del gruppo scultoreo della Trinità di Chieti un esempio di sintesi tra antico e moderno, testimone del passaggio artistico dagli schemi del Duecento a quelli del Quattrocento.

 

 

LA MADONNA DEI SETTE DOLORI

Risalente al XIX secolo, proviene dalla chiesa di S. Giovanni Battista, chiusa al culto, dell’ex convento dei cappuccini di Chieti, adibito dallo Stato italiano a casa di riposo, attualmente gestita dagli Istituti Riuniti di Assistenza S. Giovanni Battista, proprietari della statua, qui trasferita il 22 settembre 2018, in quanto molto cara al popolo teatino, essendo stata punto di riferimento per la preghiera dei volontari che prestavano servizio nella casa di riposo negli anni settanta e ottanta del novecento, quando vi operavano le suore di S. Giuseppe Benedetto Cottolengo.

La statua fu ritrovata in uno scantinato della casa di riposo da suor Vincenza, chiamata da una voce misteriosa. Si tramanda che la statua si trovasse in precedenza nel vicino e scomparso istituto delle “ragazze traviate”, dove un giorno la superiora ordinò ad una giovane suora di rifare il vestito alla statua. Non sapendo cucire, la suora chiese alla Madonna di aiutarla, non volendo disobbedire al comando ricevuto. La sera mise l’occorrente davanti alla statua, e al mattino, miracolosamente, indossava il nuovo abito, che per tradizione non può essere sostituito